Il 9 maggio 1978 veniva ritrovato in Via Caetani il corpo esanime di Aldo Moro, leader della DC e fautore di un preciso allargamento della partecipazione decisionale verso l’elettorato di sinistra. Il leader democristiano era stato rapito da un commando di brigatisti la mattina del 16 marzo. Qui ripercorriamo brevemente le tappe salienti della faccenda, tentando di ricostruirne parzialmente il contesto storico-politico.
Il primo protagonista di cui è necessario tracciare il profilo sono le Brigate Rosse, organizzazione vicina ai gruppi della sinistra extraparlamentare nata fra il 1969 e il 1970 con l’obiettivo di risvegliare la coscienza rivoluzionaria degli italiani. Dopo le contestazioni del 1968 infatti, il ragionamento brigatista sosteneva che i vertici politici della sinistra costituzionale (PCI e CGIL), che avrebbero dovuto creare le condizioni di una rivoluzione, non furono in grado o non vollero sfruttare tutto il potenziale mostrato dalla base popolare; di conseguenza, il gruppo armato si arrogò tale compito attraverso una strategia chiara: colpire con la violenza i simboli del potere borghese per dimostrare tutta la fragilità di quel medesimo potere.
E così, dopo le aggressioni a importanti personalità come Idalgo Macchiarini o Igor Sossi, si optò per una progressione ulteriore che aveva il fine di colpire il cuore dello Stato, in quel frangente rappresentato, fra gli altri, proprio da Moro. Ma qual è l’azione politica condotta da Moro a quell’altezza cronologica? Già fautore dei governi di centrosinistra degli anni precedenti, il leader democristiano era convinto di dover coinvolgere la sinistra e il suo elettorato in funzioni di responsabilità di politica attiva in modo tale da stemperare la tensione sociale vigente, pur assumendo tutte le contromisure del caso. In questo senso, in occasione delle elezioni del 1976, Moro propone un esecutivo di solidarietà nazionale con il Partito Comunista, ma per tutelarsi con l’alleato americano e con l’elettorato democristiano più conservatore propone Andreotti come Presidente del Consiglio. La reazione della base del PCI è assolutamente contrariata per l’appoggio a un governo guidato da Andreotti: ne nasceranno degli scontri di piazza condotti dall’organizzazione extraparlamentare di sinistra “Movimento Operaio” che faranno capire alle BR come i tempi fossero ormai maturi per compiere il passo decisivo, il sequestro dello statista democristiano.
I canali di trattativa, rimasti sempre segreti, vengono avviati solo agli inizi di aprile, con Bettino Craxi che sosteneva di prendere contatti con alcuni militanti di Potere Operaio, e Giulio Andreotti che contava invece sull’intercessione dello Stato Vaticano. Senza approfondire qui la questione dei vari comunicati dei brigatisti e la conduzione delle trattative, è opportuno evidenziare che il problema principale del ritardo della scarcerazione di Moro e nella presa di posizione della classe dirigente politica italiana, fu il timore delle informazioni che Moro stesso poteva rivelare ai suoi carcerieri durante gli interrogatori a cui era sottoposto con la forza. La paura infatti che potessero trapelare notizie sensibili riguardo la strategia della tensione e il progetto Stay Behind avviato con l’organizzazione Gladio in quel periodo in Italia, insinuarono anche negli stessi colleghi di Partito di Moro delle valutazioni serie sulla convenienza della sua liberazione.